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Una buona occasione.

Screenshot dal trailer del film ‘La stranezza’ (2022), regia di Roberto Andò. Sceneggiatura di Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso. Interpreti principali : Toni Servillo, Ficarra e Picone, Luigi Lo Cascio.

 

 

Deliziosa è la leggerezza con cui il film lascia fluire dramma e comicità senza un ordine perentorio a segnalare questo o quell’altro filo risolutivo di quella matassa ingarbugliata che può apparire la vita,  e che l’adulto spesso si abitua a sopportare come greve, e inevitabile.

Il fardello della rimozione è già in un bambino di pochi anni un’affezione vaga ma in grado di togliere le forze e di accasciare perché c’è qualcosa di ingiusto, dapprima, e poi di sbagliato, che non si può cambiare e che riguarda gli altri, anzi i propri altri.

‘La stranezza’ è finalmente il nome dell’angoscia, che Pirandello bambino apprende per voce della balia, servitrice non malinconica e prudente che gli dà ‘tempo’, laddove lui avrebbe fretta di saltare il bivio che gli ha individuato. Un bivio che già era stato prezioso per il bambino, ed ora può tornare a ricordarlo nei suoi anni adulti ed in qualcosa che si ripete, che si è ripetuto però senza soluzione, anzi accettandone la ‘deviazione’ in teatro rappresentato, consentendogli almeno di esorcizzar l’acume tenendo l’angoscia alla distanza.

Il regista, insomma, ammette che Pirandello aveva negli anni gradualmente cristallizzato ‘la stranezza’, facendone anzi un privato ricovero di fortuna da cui estrarre nodi drammaticamente irrisolvibili, sublimi, senza speranza.

Ma, proprio nel finale[1], a Pirandello si offre la intelligenza della giovane figlia Lietta, che logicamente teme gli insulti di un pubblico fattosi irruente e bellico perché coinvolto nell’azzardo della identificazione della persona al personaggio, rischiosissima dramma-terapia. Pirandello però non coglie l’aiuto e qui si fa padre e patogeno spingendo Lietta, nolente e terrorizzata, ad attraversare invece, affidandosi alla stoica virilità di lui, l’aggressività di una folla che ben riproduce il materializzarsi della ribellione furente dell’Es quando sguaiatamente si scioglie dalla censura coscienziale.

Trovano invece la logica - via che forse poco appare dell’inconscio - i due ospiti forestieri invitati da Pirandello, inconsapevoli e reali autori della fondamentale ‘modifica’ apportata dal Maestro al suo dramma, ed essi stessi ‘amatoriali’ del teatro nonché professionalmente ‘cassamortari’ a ‘Girgenti’[2], città da cui sono arrivati a Roma. Pazientemente hanno aspettato - uno dei due ha perfino dormito nel teatro in rivolta – finchè il gran ‘Teatro Valle’ si è acquietato dopo la ruvida tempesta ed ora si ritrovano in piena coscienza soddisfatti dall’autore del dramma a cui hanno assistito[3].

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 14 dicembre 2022

 

 

[1] Il film ripropone quella che fu, nel 1921, la ‘prima’ al ‘Teatro Valle’ – teatro storico, per la sua anzianità, non solo di Roma ma d’Europa - de ‘I sei personaggi in cerca d’autore’, forse l’opera più importante di Pirandello, il cui testo egli aveva solo poco prima modificato radicalmente, a causa di qualcosa che era avvenuto durante un recente viaggio nella sua ‘Girgenti’.

[2] Dal 1927 Girgenti è la città di Agrigento.

[3] Pirandello (Girgenti 1867 – Roma 1936) ricevette nel 1934 il Premio Nobel per la letteratura.

Formula 1

  

“Ogni volta che possiamo sostituire ad un giudizio umano una formula, dovremmo almeno prendere in considerazione l’idea di farlo.”[1]

 

 

Siamo grati a Daniel Kahneman[2] perché offre uno spazio - pur ristretto, una gola scavata dal fiume fra montagne impervie - alla scienza del pensiero, o inconscio, che resta l’unico, infatti, a poter ‘prendere in considerazione’ qualcosa.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 24 settembre 2022

 

 

Illustrazione originale di Gianni Russomando.[3]

 

 

[1] Cit. da : ‘Pensieri lenti e veloci’ (‘Thinking, Fast and Slow’ - 2012), Daniel Kahneman – Arnoldo Mondadori Spa, ‘Oscar Saggi’ (2012) p. 312. 

[2] Daniel Kahneman (Tel Aviv, 1934) è psicologo e professore emerito a Princeton, ed è uno dei fondatori della finanza comportamentale. Nel 2002 è stato insignito del Premio Nobel per l’Economia “per aver integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano ed alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza”.

[3] Gianni Russomando, note di biografia : “Sono nato a Vercelli nel 1956, diplomato presso l’Istituto di Belle Arti di Vercelli, mi definisco un semplice ‘amanuense’, lontano mille miglia da mostre, concorsi, esposizioni.” 

 

Agli umani spetta.

‘Ifigenia in Tauride’ per la regia di Jacopo Gassmann[1], al Teatro Greco di Siracusa 2022.

 

Nella foto : l’allestimento di  ‘Ifigenia in Tauride’ per la regia di Jacopo Gassmann presso il ‘Teatro Greco’ di Siracusa,  57° Stagione Teatro Greco 17 maggio – 9 luglio 2022, a cura della Fondazione I.N.D.A. Istituto Nazionale Dramma Antico www.indafondazione.org  / Gli applausi finali sono stati accompagnati da 'Rock bottom riser' (Bill Callahan).

 

 

Il costume di scena del Messaggero è una tuta grigia da meccanico-astronauta, unica nota a differenziarlo su un palcoscenico antico dove il tempo si è fermato a celebrare riti mortiferi che gli dei hanno istituito.

Un reale rompi-schemi è questo Messaggero, attraverso cui il regista Jacopo Gassmann è riuscito a dar vita al finale altrimenti asciutto[2] di Euripide,[3] che fece di Ifigenia un ‘continuum’ immoto con la cerva uccisa – qui in primissimo piano - da sacrificata a sacra, reliquia temuta ed indifferente ad altri sacrifici, di cui le lucide teche da museo con scheletri supposti umani offrono prepotentemente i loro reperti, a cui si aggiunge quella testa di toro portata a braccia quale inutile trofeo.

“C’è disordine presso gli dei…”, osserva il principe Oreste, qui giunto in incognito ed in fuga da Argo col compagno Pilade.

Un disordine dunque non degli uomini ma degli dei, che questo rito hanno voluto per liberarsi di quel ‘desiderio’ umano che, a differenza dell’istinto animale, non può essere governato.

Ifigenia - sottratta dalla dea Artemide in terra di Aulide alla uccisione sacrificale decisa dal padre, e re, Agamennone su consiglio dell’astuto Odìsseo - deve però fra i Tauri - e proprio lei che già fu vittima predestinata - farsi carnefice, ma ‘sacro’ immoto inimputabile, di tutti gli stranieri che qui riescono ad approdare : una principessa sulla cui ingenuità, dunque, molti altri continuano a banchettare. Fino a quando ?

Tauride è l’odierna Crimea che gli antichi pensavano si trovasse aldilà delle ‘oscure Simplegadi’[4] : dal dialetto miceneo, ‘messaggero’, nel primo greco è tradotto con ἄγγελος  ‘l’annunciatore’.

Ma rispetto al testo di Euripide, che fu innovatore se pur obbligato al registro antico, questa regia porta un deciso cambio di passo per l’intervento del ‘pensiero’, e quindi dell’umano : ciò avviene con l’ingresso del Messaggero.

Un messaggio può essere onesto o disonesto, può salvare o distruggere anche quando l’unico reperto è la voce di qualcuno che non è presente, le sue frasi, i suoi accenti : qui è il messaggio di un Messaggero a far sì che il supporto della divina Athena, deus ex-machina concludente, non sia un tramite così irraggiungibile come nel testo originale di Euripide in cui quell’aiuto resta, secondo  tradizione, aldifuori dell’umano.

“Agli umani spetta rendere credibili gli dei…” aveva anticipato Ifigenia che accede al tempio scendendone le scale, anziché salirle. L’inganno aleggia infatti nel testo di Euripide, e con l’inganno l’affidabilità, provata o solo presupposta.

Dagli dei, Oreste anzitutto, si dice ingannato avendo riposto la sua fiducia nel dio Apollo che lo ha convinto ad uccidere la madre e regina Clitennestra, sposa di Agamennone, insieme all’amante di lei, il nobile ma vile Egisto. Quale altra via restava dopo quel duplice assassinio d’onore se non fuggire, perseguitato dalla furia delle ‘Erinni’, dal suo stesso regno ? Ed ora Menelao, re di Sparta e fratello di Agamennone, già propulsore della guerra maledetta contro Troia, regna anche su Argo!

Ma pure Ifigenia si dice ingannata da Artemide, benchè sottratta dalla stessa dea al sacrificio, perché presso i Tauri è reclusa in prigionia - sebbene sacerdotale - e resta una straniera assieme a tutte le vergini rapite, per servire in un tempio di cui nessuno sa nulla.

La coreografia, anche formale, si rende indispensabile nel Teatro Antico dove gli attori devono letteralmente muoversi e camminare per metri sul palcoscenico : ma con una recitazione assolutamente agile e serrata, al punto da non distrarre l’ascolto, i dialoghi di scena sono risultati affiatatissimi e convincenti davanti a migliaia di spettatori.

Un messaggio vive solo se viene ben interpretato[5] : quando diventa un mero reperto da consegnare di mano in mano, perde senso e significato.

Toante, re di Tauride, ascolta il messaggero ed inaspettatamente comincia a valutare la inutilità di quel forsennato inseguimento - Ifigenia ed Oreste – fino a che lascia cadere la volontà di una dea, Artemide! Perché, quando Athena entra per fermare la vendetta di Toante, lui stesso ne era già convinto e l’automatismo del Fato si interrompe.

“Cosa c’è di più bello di una lingua fidata ?”, si era chiesta Ifigenia[6] davanti alle compagne, soppesando un bivio possibile, ma da Euripide non esplorato.

Con una capacità interpretativa che si muove senza mentire tra ‘affidabilità’ e ‘inganno’, che nome dare allo stratagemma ideato da Ifigenia per salvare sé e Oreste ?

E quale invece a quello pensato dal re Agamennone per attirare la primogenita Ifigenia al sacrificio? 

Alla ‘interpretazione’ può accedere infatti solo il pensiero che rende imputabile di sanzione l’offerta, e l’appuntamento, con qualcuno : non più sacro, ma non inevitabilmente sacrificato ed immoto, anche un messaggio antico può essere ripreso in movimento e reso attuale senza violarlo.

Euripide accettò infine che Ifigenia venisse solo trasferita da Tauride per proseguire altrove il suo rito di morte fra gli uomini.

Ma nella regia di Jacopo Gassmann, Ifigenia arriva a riconquistare nome e posizione, e può rifiutare di farsi manipolare, e smetterla di condannare a morte.

Non esistono riti, insomma, a cui delegare l’affidabilità : agli umani spetta.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 6 settembre 2022

 

 

[1] Jacopo Gassmann, 42 anni compiuti lo scorso giugno è, con ‘Ifigenia in Tauride’ di Euripide, al suo debutto nel Teatro Antico. Diplomatosi alla ‘New York University’ in ‘regia cinematografica’ ha al suo attivo alcuni lavori teatrali : ‘Il minore, ovvero preferirei di no’; ‘La voce a te dovuta’; ‘Il più bel gioco del mondo’. Ha tradotto testi, riadattandoli per il teatro; nel 2020 ha diretto ‘Niente di me’, di Arne Lygre per la ‘Biennale Teatro’ di Venezia. 

[2] ‘Ifigenia in Tauride’ si conclude con un’ammissione della dea Athena : “La necessità domina non solo te, Toante, ma gli dei stessi!”, citaz. da : ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019) p. 195.

[3] Euripide, il più giovane dei poeti tragici, nacque nel 480 a.C. presso Salamina e morì a Pella, in Macedonia nel 406 a.C. Fu studioso appassionato ma dal pubblico non subito ricevette applausi e consenso, i suoi testi non erano tradizionalisti ed anzi interrogavano lo spettatore : ‘Alcesti’ (438 a.C.), ‘Medea’ (431 a.C.), ‘Elena’ (412 a.C.), ‘Oreste’ (408 a.C.) sono alcune delle sue opere arrivate fino a noi. ‘Baccanti’, ‘Ifigenia in Aulide’ e ‘Ifigenia in Tauride’ furono rappresentate per iniziativa del figlio dopo la morte di Euripide.

[4] Le ‘Simplegadi’ erano, nella mitologia, isole rocciose e vicinissime che ne rendevano pericoloso l’attraversamento : raramente fu possibile superarle, come invece accaduto qui a Oreste e Pilade. “Ora possediamo ciò per cui varcammo le Simplegadi, ciò per cui attraversammo l’inospite mare.”, è Oreste sul ponte della nave, pronto a lasciare Tauride con la sorella Ifigenia ed il compagno Pilade. Citaz.da ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019), p.189.

[5] “Le parole scritte sulle pieghe della tavoletta te le dirò a voce e così tu potrai riferirle ai miei cari”, Ifigenia affida il suo messaggio a Pilade avendo deciso di salvare lui ed Oreste perché provengono da Argo, ma non avendoli ancora riconosciuti. Citaz.da ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019), p.145.

[6] Cit. da: ‘Ifigenia in Tauride’, a cura di F.Ferrari con testo greco – BUR Rizzoli (2019), p.165

“Storie!”

“La parola alla difesa”, fu pubblicato da Agatha Christie nel 1933. Illustrazione originale di Stefano Frassetto.[1]

 

 

Si dice di Agatha Christie che fosse solitaria e che, fin da ragazza, preferisse le letture alle amicizie che le venivano presentate : sappiamo però che fu capace di costruire un ben corroborato giudizio sull’appuntamento e sull’affidabilità.

“La parola alla difesa” non è fra i suoi romanzi più famosi, così insolitamente pacato e scarno, eppure contiene un nucleo indispensabile all’amore, che è l’alleanza non criminosa : quella cioè che costruisce anziché minare, e difende con giusta causa anziché accantonare sorridendo.

Non è infatti la parola pronunciata in giudizio dalla imputata - peraltro capace di dire poco e con difficoltà - a scagionarla dall’accusa gravissima di avvelenamento mortale nei confronti di Mary Gerrard, quanto invece la logica esposta dal suo difensore, il mite inflessibile investigatore Hercule Poirot, abile nel saper rovistare fra le annotazioni fitte che stavano conducendo Elinor Carlisle alla condanna capitale e nell’individuare quei sorridenti ‘buchi’ della logica con cui si condanna per piacere proprio ed altrui, più che per giustizia : ma anche ascrivendo alla giustizia anzitutto il proprio piacere, la propria ‘jouissance’[2].

I ‘buchi’ della logica infatti ostentano presenza e consistenza, sebbene velate da quella modestia e bonarietà che è comune anche ai manigoldi.

Gli stessi ‘buchi’ poi - indebitamente colmi degli affetti più disparati – anche altrove lampeggiano, e vigorosamente. Così negli appunti offerti da un analista al supervisore, quando questi si pone a ricostruire il lavoro fra analista e paziente, indispensabile lettura terza, esterna senza estraneità, volta a cogliere quanto la scienza del pensiero (o inconscio) affida a reperti trascurati e resti da poco, che però facilmente fanno slittare a mera narrazione di un disagio – per molti prezioso, infinito, disumano - quel bandolo della matassa che altrettanto abilmente fu contraffatto e rimosso, non senza responsabilità.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 19 agosto 2022

 

 

[1] Stefano Frassetto è nato a Torino nel 1968. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino, ha iniziato come vignettista e disegnatore per alcuni giornali locali. A metà anni novanta ha cominciato a pubblicare anche in Francia, prima col mensile ‘Le Réverbère’ e in seguito col quotidiano ‘Libération’ : passato a sviluppare l’attività di fumettista col personaggio di Ippo per ‘Il Giornalino’ e poi la striscia ‘35MQ’ per il quotidiano svizzero ‘20 Minuti’, con l’anno 2000 fa il suo esordio su ‘La Stampa’ come ritrattista per le pagine culturali e per l’inserto ‘Tuttolibri’, poi per il settimanale culturale ‘Origami’. Oggi è anche ritrattista e illustratore presso il quotidiano svizzero ‘Le Temps’. Nel 2022 ha pubblicato la raccolta “35mq. 2012-2022 Dieci anni di inettitudine”.

[2] ‘jouissance’ è una parola tipicamente francese e fu introdotta e poi ampiamente usata in psicoanalisi da Jacques Lacan : in realtà indica quel generale ‘godimento’ che connota tanto la ingenuità quanto la invidia, in quanto sfuggenti la ragione. Fra altri testi si legga anche ‘Kant con Sade’, ‘Critique’ n.191 aprile 1963 in ‘Jacques Lacan. Scritti’, a cura di Giacomo B. Contri – Vol. II, pp764-791 ‘Giulio Einaudi editore SpA’ (1974 e 2002).

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