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Inaccessibile alla coscienza . ‘L’Aurora’ (1948) di Salvador Dalì.

“…La mia pittura accanita e paziente ”, confessa Salvador Dalì. Illustrazione originale di Stefano Frassetto.

Ho scoperto Salvador Dalì solo recentemente e grazie a Facebook, che ospita spesso autori notevoli : qui farò riferimento a ‘L’ Aurora’ (1948) che a mio parere sa far valere Dalì, peraltro anche criticato come avviene per chi a buon diritto si fa notare.

“…Credo che sia vicino il momento in cui, attraverso un processo di carattere paranoico e attivo del pensiero, sarà possibile (in concomitanza con l’automatismo e con altri stati passivi) sistematizzare la confusione e contribuire al discredito totale del mondo della realtà ”.

L’enorme sole di un’aurora radiosa compare dietro nuvole-a-guscio-d’uovo che si rompono nel cielo, mentre solerti lavoratori si arrampicano sulla sua superficie e, imbragati per non scivolare, si adoperano per scalfirla. Le due metà del guscio sono anche le due metà di un fragrante panino bianco, ed il sole un tuorlo fresco d’uovo, ma anche il profilo di una florida margherita : davanti a tanta ricchezza il navigante che stava per prendere il largo con la sua barca, fugge terrorizzato in direzione opposta e contraria.

“Oggi dichiaro che la nuova attrattiva sessuale delle donne dipenderà dalla possibile utilizzazione delle loro attitudini e risorse spettrali, vale a dire dalla  loro possibile dissociazione, de-composizione carnale luminosa. Lo spettro iridato si contrappone al fantasma (rappresentato ancora da quel farmacista nostalgico di città di provincia al quale tanto assomiglia, disperatamente, quell’altro fantasma prosaico e diabetico che si chiama Greta Garbo). La donna spettrale sarà la donna smontabile ”.

Gli elementi del quadro ne fanno indubbiamente una rappresentazione ironica, leggera e seria allo stesso tempo : Salvador Dalì osserva incredulo il terrore che accompagna le scoperte scientifiche e che origina crudeltà, a partire da quella rivoluzionaria energia quantica ed atomica che fu subito usata per devastazioni inimmaginabili .

“Non insisterò su ciò che mi appare oggi assolutamente inammissibile, non solamente una poesia, ma ogni sorta di produzione letteraria che non risponda alla notazione antiartistica, fedele ed obiettiva del mondo dei fatti, del cui senso occulto domandiamo ed aspettiamo sempre la rivelazione… Non è neppure il momento di rifare il fervente elogio della testimonianza fotografica, ma di errare senza metodo sui sentieri dell’involontario, e constatare il semplice fatto che la ragione diventa ogni giorno di più l’elemento essenziale nel campo della conoscenza… ”

Un pensiero sicuramente ‘anti-artistico’, anti-lirico ed anti-decorativo, è infatti presente nella epifania che Dalì ha voluto intitolare ‘L’ Aurora’, dacchè nessuna epifania è per l’umanità generalizzata fino a che non venga personalmente riconosciuta, uscendo dal buio di una notte affollata da quegli stessi sogni deliranti che di giorno vengono coscienziosamente costruiti, ricercando l’ostile fuori di noi. Il buon genio di Dalì incontrò il diabolico Picasso  e se ne lasciò deridere, a causa delle sue fedeltà affettive e del suo candore disarmante.
 
Qui invece egli osa indicare che la coscienza ‘sa’ come riportare ad una giustificazione inappuntabile la perversione e la paranoia con cui perlopiù si affrontano il nuovo e l’imprevedibile, fino a farne il famoso dubbio esistenziale, invalidante ma assolutamente ‘naturale’ per l’umanità : in realtà una fissazione, capace di sgretolare la esperienza di ognuno, fino al delirio.

“Si è trattato soltanto di un sogno…!”, commenta infatti il pensiero banale dei luoghi comuni.

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 7 gennaio 2021

Raffaello Sanzio.

La casa laboratorio in cui nacque Raffaello Sanzio[1].

 

Nella foto: Urbino, uscendo dalla Fortezza Albornoz verso la casa di Raffaello. La Fortezza fu costruita fra il 1350 ed il 1370 per volere del cardinale Egidio Alvaros de Albornoz e dovette già nel 1375 resistere all’assedio di Antonio da Montefeltro che rivendicava la città consegnatagli dalla rivolta popolare. 

 

 

 

Al primo piano della casa natale ad Urbino, c’è un affresco nella camera in cui Raffaello stesso nacque nel 1483[2] : una giovane donna legge con lo sguardo assorto e quasi dimentica del bimbo che le dorme sulle gambe; non può passare inosservato ed anzi ne indica immediatamente l’autore, appassionato e schivo che fu Giovanni Santi, padre di Raffaello e maturo coniuge della giovane Magìa di Battista Ciarla[3]. Raffaello, che in questa stanza venne svezzato e giocò fino a poter scendere nel laboratorio del padre - dove cominciò prestissimo ad apprenderne il lavoro e proprio dai collaboratori più anziani al quale veniva affidato – apprese il legame coniugale, su cui non ebbe dubbi negli anni a venire, anche da quel semplice affresco del padre : l’affresco è noto come ‘Madonna di casa Santi’ e conferma la competenza della giovane moglie, anche presso il vicinato.

Rimasto orfano a pochi anni, prima della madre e poi del padre, Raffaello fu di fatto adottato dai lavoranti del padre su cui virtualmente soprintendeva il ‘Perugino’ al quale Giovanni Santi aveva presentato il giovanissimo Raffaello nel 1494 perché lavorasse presso di lui come apprendista[4] : a diciassette anni, dunque Raffaello si ritrovò Maestro della bottega paterna – grazie al suo reale talento ma anche alla prudente lungimiranza del padre – e soprattutto capace di ottenere commesse di lavoro.

Se i bozzetti costituivano per un Maestro e per il suo laboratorio un investimento prezioso ed indispensabile - tanto da costituire alleanze ‘de facto’ quando venivano prestati ad altri Maestri[5] oppure un danno ingente quando venivano ceduti clandestinamente - Raffaello sapeva bene cosa intendeva ottenere per un ritratto commissionato : così che non ritroviamo nelle sue molte Madonne lo sguardo intenso della giovane donna ritratta dal marito nella stanza coniugale, anche se restiamo ugualmente ammirati, nelle opere commissionate, dai colori unici e sopraffini che contraddistinguono la pittura di Raffaello e dalla perfezione del suo disegno.

Con una rivisitazione sorprendente, ma ragionevole per le modalità di lavoro e l’ambiente che entrambi frequentarono, Giovanni Santi avrebbe ripreso da Piero della Francesca e da quella sua opera oggi nota come ‘Pala di Brera’[6] (1472) - commissionatagli da Federico da Montefeltro, Duca di Urbino - la pensabilità di una donna ‘politica’, esente da quelle formalità ed accudimenti coatti con cui invece le donne venivano addestrate e rese inutili dalla cultura delle Corti.

 

                                                                                                 Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 29 dicembre 2020

 

P.S. Ringrazio sentitamente il museo ‘Casa natale di Raffaello’ ad Urbino e la ’Accademia Raffaello’ per la consulenza in occasione delle visite.

 

 

[1] “Lavamini et mundi estote” è la iscrizione in latino che si può leggere sul lavatoio del cortile al primo piano che collega la casa con ingresso sulla via principale – oggi Via Raffaello - acquistata da Giovanni Santi nel 1460, con la casa al primo piano affacciata sulla stretta Via Santa Margherita, portata in dote dalla madre di Raffaello, Magìa Ciarla di Battista e dotata di un pozzo : il motto dice del potere di ognuno nel riuscire ad emendare i propri errori quando siano realmente riconosciuti. La casa laboratorio servì a Giovanni Santi per iniziare subito a lavorare al servizio del Duca come decoratore di tavole per la pittura, così che successivamente potè trasformare la sua attività nel più ricercato ‘laboratorio di pittura’.

[2] Raffaello visse fra il 1483 ed 1520 : il 2020 è infatti il 500° dalla sua morte.

[3] Come tuttora avviene in alcuni Paesi – in Russia e nell’area ex-sovietica, ma non solo - già ai tempi di Raffaello la donna era identificata dalla paternità: e questo ben oltre il matrimonio.

[4] “…E Pietro (Perugino) che era benigno per natura, non potendo mancare a tanta voglia, accettò Rafaello. Onde Giovanni (Santi) con la maggiore allegrezza del mondo tornò ad Urbino e non senza lagrime e pianti grandissimi della madre lo menò a Perugia. Dove Pietro (Perugino), veduto il disegno suo, i modi et i costumi, ne fè quel giudizio che il tempo dimostrò vero…”, p.612 ‘Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri. Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550’, Giorgio Vasari – Giulio Einaudi editore 2015.

[5] Non solo Raffaello Sanzio ma anche altri artisti, più tardi persino Leonardo Da Vinci usavano più volte lo stesso bozzetto adattandolo alla committenza ed all’opera.

[6] ‘Pala di Brera’, o ‘Pala Montefeltro’, si trova infatti presso la Pinacoteca di Brera a Milano.

 

Erode e il principio di piacere. …Un frainteso socialmente inattaccabile.

“Il mio paziente, che grazie all’analisi recuperò la salute psichica, è caduto durante la grande guerra(1) , come tanti altri giovani ricchi d’ingegno e d’avvenire”/ La nota fu aggiunta da Freud nel 1923 al testo originale de ‘Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva, o il Caso dell’uomo dei topi’(2).

Illustrazione originale di Jacopo Ricci(3).

 

 

Un frainteso – banalissimo come la differenza biologica fra maschio e femmina – accompagna il principio di piacere fin da quando Freud volle nominarlo, accortosi che la rimozione di questo era presente in tutte le psicopatologie, da quelle trascurate a quelle gravi.
 
Socialmente inattaccabile resta infatti la ‘vexata quaestio’ se la civiltà possa oppure no convivere col principio di piacere che, per quanto precoce e presente già nel neonato, non si corrompe però  ‘naturalmente’ in lesivo od aggressivo : se non come elaborazione individuale - ed individualmente correggibile  - di una sanzione non più comminabile alla umiliazione subìta.

 

Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 20 dicembre 2020



(1)Freud si riferisce alla Prima guerra mondiale (1914-1918).
(3)Illustratore indipendente di Valenza, Jacopo Ricci è nato a Milano nel 1988 : appassionato disegnatore fin da bambino, dopo le scuole superiori decide di farne la sua professione, accogliendo commissioni e collaborazioni. Nel 2018 illustra ‘Dottor Tremarella’  e ‘Guarda Oltre’ (libri autoprodotti). Nel 2019 si avvicina alla serigrafia che gli permette di realizzare i lavori autonomamente, dall’idea fino alla stampa. https://www.facebook.com/jacoporicciillustratore  https://www.instagram.com/jacoporicciillustratore/
(2)“Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva, o il Caso dell’uomo dei topi”, S.Freud (1909) in ‘Sigmund Freud – Casi clinici 2’ Edizione integrale di riferimento, 2013 Bollati Boringhieri editore pp.47-136


Un lettore non indifferente.

“… Il convient d’introduire ici une distinction, classique en philosophie, entre repentir et remords : le premier reconnaît la faute pour mieux s’en separer, goûter la grâce de la convalescence, le second s’y maintient par besoin maladif d’en éprouver les brûlures…”[1]

 

<Rifer. Illustr.: 0_5501475_125008.jpg >

 

‘MEETmeTONIGHT’[2] è la rassegna annuale della ricerca universitaria in Italia e quest’anno ha avuto un unico macro-tema, ‘Il futuro’ : l’appuntamento con la dottoressa Laura Musazzi[3] riguardava gli effetti dello stress sul cervello che - a mio parere - si dimostra ‘un lettore non indifferente’, in quanto può giudicare anche del grado di sofferenza individuale che viene comunicato ai diversi organi per attivare una difesa.

Si sa infatti che, fisiologicamente i neuroni in ognuno di noi cambiano forma di fronte ad un semplice insorgere di ansia e con una progressiva contrazione dei dendriti, deputati a trasmettere segnali agli organi : e pare anche che l’attività muscolare – a cui volentieri diamo spazio quando l’ansia insorge - possa compensare quella contrazione eccessiva o prolungata che produciamo nello stress, e favorire la presenza di neurotrasmettitori benefici, le endorfine.

Mi chiedevo tuttavia se la sola attività muscolare - che può arrivare a rivelarsi persino aggressiva e lesiva come sappiamo dalle frequenti cronache - non possa anche permettere al nostro corpo allenato di produrre carichi sempre maggiori o maggiormente prolungati di stress, con effetti deleteri ed infine incontrollabili.

“L’ansia non è fuori di noi…” mi è sembrata una notazione opportuna all’inizio del ‘talk’, ma insufficiente nella sua definitività : perché, per chi quell’ansia si trova a viverla senza altro placebo che un’attività muscolare corroborata magari farmacologicamente, si tratterebbe di una frustrazione ulteriore difficilmente confessabile.

Penso che se il cervello è quel ‘lettore non indifferente’ del proprio corpo, di cui finalmente cominciamo a sapere qualcosa, allora può essergli relativamente semplice riconoscere ciò che l’ansia individuale suggerisce : e cioè la nostra distanza da ‘un modello’ evidentemente asessuato,  che quindi non ci assomiglia per niente e che però, come dimostra purtroppo la produzione di stress, prima fisiologica e poi patologica, ci espone ad un tiro al bersaglio, incrociato e generalizzato.

 

                                                 Marina Bilotta Membretti, Cernusco sul Naviglio 11 dicembre 2020

 

[1] “La tyrannie de la pénitence”, di Pascal Bruckner – Éditions Grasset & Fasquelle (2006), pp.53-54.

[2] Aderendo alle norme di contenimento della pandemia da Covid19, la rassegna si è svolta solo online, offrendo tra l’altro una serie di interessanti brevissimi ‘talk’, ciascuno della durata complessiva di venti minuti, incluse le domande dal pubblico e su argomenti molto specifici nelle cinque aree di interesse, ‘Salute’, ‘Humanities’, ‘Smart cities’, ‘Sostenibilità’, ‘Tecnologia’.

[3] Laura Musazzi è professore associato di ‘Farmacologia’ presso il Dipartimento di ‘Medicina e Chirurgia’ dell’ Università degli Studi di Milano-Bicocca : titolo del ‘talk’ di sabato 28 novembre 2020, ‘Un cervello sotto stress’.

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